L’orfismo, fondato dal mitico Orfeo, è il più grande fenomeno religioso di carattere misterico (v. radice myo- stare zitto), della Grecia del sec.VI, in quel secolo così importante per la storia religiosa del mondo, giacché in esso vediamo sorgere Confucio in Cina, il Buddha nell’India, Ezechiele tra gli Israeliti, Zarathustra nell’Ira. Il sec.VI è per la Grecia un’epoca di profonda trasformazione sociale. Esso segna la fine del così detto medio evo greco, che sta tra il crollo delle antiche monarchie rispecchiate dai poemi d’Omero e il sorgere degli Stati democratici di cui Atene è l’esempio più illustre. In quest’epoca agitata l’orfismo rappresenta, nella religione, l’anelito alla liberazione da un regime di oppressione e di violenza. Perciò presso gli Orfici si trova così vivo l’orrore del sangue, così possente il desiderio della Giustizia (Dike) e della Legge (Nomos).
Perciò come dio centrale della teologia e del culto orfico viene assunto Dioniso, il più giovane degli dei della Grecia, il dio caratteristico sopratutto per i suoi patimenti e per la sua morte ingiusta, il dio straniero e popolare venuto dalla Tracia, invece degli dei Olimpici che avevano fatto la gloria delle vecchie aristocrazie guerriere cantate da Omero.
Dioniso è il dio più vicino all’anima del popolo per la sua vita fatta di emozioni profonde; per questo essi hanno accettato anche il rituale di uccisione dell’animale sacro con ingestione delle sue carni crude come memoriale di un sacrificio primordiale, in cui Dioniso, sotto la forma di toro, subì per altrui violenza lo sbranamento: odioso deicidio, gravido di conseguenze per la storia dolorante dell’umanità, ma dal quale è pur scaturita la scintilla divina che si cela nella cenere della nostra materia, che solo la disciplina orfica può liberare facendola risalire al suo principio.
Secondo l’orfismo infatti il sacrificio è il memoriale di una primitiva immolazione che è un misfatto, un deicidio, da cui deriva la triste posizione dell’uomo su la terra, la sua oscura prigionia, dalla quale è lunga e difficile la liberazione.
L’anima dunque per gli Orfici è di origine divina e immortale ed il corpo è una tomba (soma, sema) in cui essa è precipitata in seguito a una colpa primordiale. E la distanza che separa la prigione oscura del corpo dalla sede beata a cui l’anima anela di risalire si può abbreviare e sopprimere soltanto a prezzo di una espiazione, purificatrice, di una catarsi. Questa espiazione si può compiere battendo la strada del ciclo delle rinascite poiché non basta una sola vita a compiere l’espiazione e l’anima è condannata a trasmigrare di corpo in corpo, in una successione di vite che ritorna in se stessa come un circolo.
Questo cammino di purificazione, per riunirsi alla divinità, l’Orfico si impone una vita di purità, di dominio della ragione sul corpo, di ascetismo, di purificazioni cerimoniali.
Anche segni esteriori contraddistinguevano chi sceglieva questa strada: una veste bianca; orrore di tutto che implica un contatto mortuario, come a) la vicinanza delle tombe, b) il mangiare i legumi che sono l’offerta precipua che si fa ai defunti, c) il vestir di lana, anche nella tomba, perché la lana fu il mantello di un animale, d) il gustare uova e carne, perché anch’esse in contatto con le anime peregrinanti nei cicli vari della metempsicosi; fuggire la generazione dei mortali nel senso assai diffuso.
Perciò come dio centrale della teologia e del culto orfico viene assunto Dioniso, il più giovane degli dei della Grecia, il dio caratteristico sopratutto per i suoi patimenti e per la sua morte ingiusta, il dio straniero e popolare venuto dalla Tracia, invece degli dei Olimpici che avevano fatto la gloria delle vecchie aristocrazie guerriere cantate da Omero.
Dioniso è il dio più vicino all’anima del popolo per la sua vita fatta di emozioni profonde; per questo essi hanno accettato anche il rituale di uccisione dell’animale sacro con ingestione delle sue carni crude come memoriale di un sacrificio primordiale, in cui Dioniso, sotto la forma di toro, subì per altrui violenza lo sbranamento: odioso deicidio, gravido di conseguenze per la storia dolorante dell’umanità, ma dal quale è pur scaturita la scintilla divina che si cela nella cenere della nostra materia, che solo la disciplina orfica può liberare facendola risalire al suo principio.
Secondo l’orfismo infatti il sacrificio è il memoriale di una primitiva immolazione che è un misfatto, un deicidio, da cui deriva la triste posizione dell’uomo su la terra, la sua oscura prigionia, dalla quale è lunga e difficile la liberazione.
L’anima dunque per gli Orfici è di origine divina e immortale ed il corpo è una tomba (soma, sema) in cui essa è precipitata in seguito a una colpa primordiale. E la distanza che separa la prigione oscura del corpo dalla sede beata a cui l’anima anela di risalire si può abbreviare e sopprimere soltanto a prezzo di una espiazione, purificatrice, di una catarsi. Questa espiazione si può compiere battendo la strada del ciclo delle rinascite poiché non basta una sola vita a compiere l’espiazione e l’anima è condannata a trasmigrare di corpo in corpo, in una successione di vite che ritorna in se stessa come un circolo.
Questo cammino di purificazione, per riunirsi alla divinità, l’Orfico si impone una vita di purità, di dominio della ragione sul corpo, di ascetismo, di purificazioni cerimoniali.
Anche segni esteriori contraddistinguevano chi sceglieva questa strada: una veste bianca; orrore di tutto che implica un contatto mortuario, come a) la vicinanza delle tombe, b) il mangiare i legumi che sono l’offerta precipua che si fa ai defunti, c) il vestir di lana, anche nella tomba, perché la lana fu il mantello di un animale, d) il gustare uova e carne, perché anch’esse in contatto con le anime peregrinanti nei cicli vari della metempsicosi; fuggire la generazione dei mortali nel senso assai diffuso.
Nota: perchè le varie religioni hanno usato il toro come simbolo della divinità?
Il racconto mitologico di Edipo (che significa dal piede gonfio) narra, ad un certo punto, della Sfinge, essere tetramorfo che può simboleggiare quattro divinità o quattro stadi della vita umana. Essa ha piedi di toro, un corpo da leone, ali d'aquila e un viso di donna. (domanda: avete già incontrato, nella nostra tradizione cristiana, questi simboli?).
Il toro è il modo più arcaico per rappresentare la divinità: esso si àncora alla terra e simboleggia la sua fecondità, così necessaria agli uomini. Le corna sono il simbolo della regalità divina alla quale anche l'uomo aspira. Dal punto di vista dell'uomo è lo stadio iniziale, potenziale dove possiamo scegliere o meno se compiere il cammino spirituale di scoperta della nostra vera identità;
Il leone simbolo di energia richiama la potenza del sole e dell'amore, che permettono di compiere le vittorie spirituali su se stessi per raggiungere la divinità che è in noi;
L'aquila è la guardiana della "porta degli dei": simbolo dell'ultima prova da superare per appropiarci della nostra identità;
La donna: ritorno alla dimensione in cui gli uomini sono finalmente loro stessi.
Questa simbologia è comune a molti racconti mitologici che appartengono a diverse tradizioni (Ittiti,Greci, Ebrei..)

Il toro, dunque, rappresenta il modo più arcaico di concepire la divinità. Divinità spesso legata alla potenza generatrice della terra che questo animale, probabilmente, sapeva ben rappresentare.
FDB
2 commenti:
orfismo??!!siii..ne abbiamo già sentito parlareee..
beh apparte gli scherzi.lei pensa k la curva sud non segua ma in realtà noi siamo sempre attente alle sue lezioni molto filosoficheeeeeeee!!!
la curva sud si distingue sempree..ha lasciato il primo commentooo..
a domaniii..LA CURVA SUD.(noi andiamo a studiare filosofia)
grazie del vostro commento! CURVA SUD!
assolutamente, non ho mai pensato che voi non seguiate. anzi è proprio perchè seguite che mi interessa il vostro parere!
a presto
Fdb
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